Raffaello, in my end is my beginning

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È il caso di dire con Maria Stuarda, Thomas Stearns Eliot e Agatha Christie, nella mia fine è il mio principio, la mostra Raffaello 1520-1483 alle Scuderie del Quirinale, si apre con la sua morte.

O meglio con la rappresentazione che ne fa l’Ottocento, a dimostrare la continuità della sua fama, o forse, sarebbe meglio dire, aura.

Segue la ricostruzione della sua tomba al Pantheon.

Piccolo inciso, quando il covid e la sua reclusione, possono essere visti come risorsa e non solo come penalizzazione …  interessanti contributi multimediali sul sito delle Scuderie del Quirinale.

Forse questa scelta di andare a ritroso è stata dettata (anche) dagli spazi espositivi.

Alle opere maggiori è dedicato il primo piano e lo spazio superiore, meno felice, a quelle degli inizi. Stavo per dire gioventù, ma Raffaello muore a soli trentasette anni, all’apice della sua carriera.

La sua ultima opera è la Trasfigurazione, conservata nella Pinacoteca Vaticana. Certo, impensabile spostarla, ma è lei il vero inizio: in my end is my beginning. E non ci sarebbe stata storia.

La mostra accosta intelligentemente disegni, esempi dell’antico che IMG_1536ha fatto da modello ispiratore e le incisioni che hanno diffuso, come foto, i capolavori del giovane maestro. Ovvia, doverosa e scontata la citazione di Marcantonio Raimondi, l’incisore (di Raffaello) per antonomasia.

Attenzione particolare è data alle epigrafi, pur nel piccolo spazio, IMG_1507una raffinata chicca è il piccolo volume che le riproduce.

Magnifico l’arazzo con la visione di Ezechiele.73E77B4D-1D29-4630-91BB-BE34DB6A0283_1_201_a

In realtà la mostra è tutto un oltre, perché Raffaello lo è,

una maestria che diventa abitudine.

Nella Velata il gioiello che porta al collo quasi non si nota in tanta naturale perfezione, ma, accanto, nella piccola teca, vediamo che è un possibile modello lo stupendo collier del I secolo.

Raffaello rende naturale, quasi scontata la perfetta bellezza: è la sprezzatura del Cortegiano?

Ma sa anche rendere bella e perfetta la bruttezza.

Forse il ritratto più bello è quello di Tommaso “Fedra” Inghirami,

ci si perde in quel rosso puro: tutto il resto, non esiste.

Gli occhiali nuovi. Vita nuova?

Un titolo che è un po’ una parafrasi di un bel romanzo di Bassani. IMG_1413

All’improvviso alla fine della reclusione, mi sono resa conto che non ci vedevo, era tutto un po’ sfocato, la novità era che lo fosse con gli occhiali e non senza!

Mi sono finalmente accorta che le lenti erano talmente rigate da formare quella specie di nebbia che affiochiva il sole.

Allora via, dall’ottico, anche se proprio ora, senza più lavoro da mesi, non ci voleva.

Però sono pure sei anni che non cambio gli occhiali, che poi mi dispiace pure, perché questa montatura mi piace tanto, sono proprio io.

Torno da chi mi ha consigliato così bene e, sperando in altri sei anni e confidando nella conferma del certificato dell’oculista di due anni fa, di occhiali ne faccio due paia.IMG_1411

Dato che con la giovinezza incipiente la miopia sta regredendo, sulla montatura vecchia ho fatto mettere le lenti per leggere, sempre da miope, ma due gradi in meno di quelli per vedere da lontano.IMG_1412

 

 

Così soddisfatta cambio pure un po’ d’aspetto.

Tanto più che con la mascherina mezza faccia non si vede.

Ironia della sorte!

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Gli occhiali da sole di mamma e gli occhiali da vista di nonna.

Tante storie sul velo musulmano e adesso, eccoci qua!

Gli occhiali staranno bene con i leggings colorati, si, voglio pure quelli.

Gli acquisti online della reclusione.

È che in casa ormai faccio anche sport. Avevo ricominciato con la palestra e la piscina.

Nei primi giorni di reclusione ho continuato con i video della palestra: pilates, flex tone, stretching.

Poi ho cominciato a guardare in giro e ho provato pure la zumba.

Ma alla fine sono approdata allo yoga.

La mattina la mente non si porta più dietro il corpo come zavorra, ma si risvegliano insieme, l’una con la preghiera e l’altro con lo yoga.

E sì, la preghiera è stata un’altra delle ri-conquiste della reclusione.

Il movimento era una necessità non solo in sostituzione del camminare, ma pure per controbilanciare i biscotti e il pane fatti in casa, non da me.

Poi la sorpresa di seguire i video e riuscire a fare esercizi che non si sarebbe mai pensato di avere l’agilità e la scioltezza di fare, invece, di quarto d’ora in quarto d’ora, mi sto allenando.

L’allenamento è stato utile per i d’après Mondrian, cioè le grate che ho ridipinto, pensandole così sono meno noiose.

Visto che a casa si deve stare, senza lavoro, si ristruttura casa, dopo i d’après Mondrian, aiuterò chi è alle prese con i d’après Magritte, cioè le finestre.

Così poi magari si passerà ai d’après Rothko o Malevič, cioè le pareti!

 

Un muro di libri non è un muro

A vederli impilati potrebbero sembrare i mattoni di un muro che sta crescendo. Ma i libri non possono essere un muro, portano sempre altrove. Sono sempre un viaggio nello spazio e nel tempo.IMG_1403

Una delle immagini principali della mia reclusione casalinga, se non la più importante, addirittura un simbolo? Sono i libri.

Mi servivano per  poter continuare a studiare e andare avanti, per non fermarmi.

Erano la cosa buona che veniva da fuori, che superava fisicamente le frontiere, dagli Stati Uniti, dall’Inghilterra, dalla Francia.

Superavano anche il tempo, arrivavano gli usati, non più in edizione.

Quando non è possibile trovare il libro o l’articolo, si trova il pdf o l’estratto online. Memoria digitale.IMG_1398

Mentre mi chiedevo che ne fosse del libro sul progetto della Germania, pensando che la stampa fosse stata bloccata pure quella,

eccolo arrivare col corriere. Il secondo libro dove dentro ci sono anche io.

Per fortuna avevo anche delle foto dei documenti su cui sto lavorando. Un’altra folla a riempirmi casa. Pezzi di carta che sono pezzi di persone, come in un puzzle si ricompongono pezzo per pezzo, giorno per giorno.

Come quando per la tesi della scuola di specializzazione andavo a Subiaco: pezzi di carta, registrazioni di pagamenti, ben organizzati.

Numeri e lettere che potrebbero sembrare noiosi ed aridi, cominciavano a sventolare, mossi da un vento gentile che li ammorbidiva.

Diventavano bianche tende che scostandosi, lasciavano intravedere una persona.

Una camicia bianca, anche lei un po’ stanca e malinconica, un po’ slacciata e in stato di abbandono.

Anche lei esausta dal tanto pensare, organizzare , sorridere per convenienza. Tenere in ordine tutto, far arrivare la neve per la conservazione dei cibi, ma soprattutto i pizzi e i dolcetti per tenere buone le donne della casa.

Eccolo il principe Fabrizio, stanco, si abbandona su una sedia e aspetta l’arrivo del violinista che riporterà la sua esistenza ad un grado accettabile.

Pensa comunque di essere molto fortunato, perché non è prigioniero del suo corpo, come la mente brillante, di quell’uomo che ha progettato la fontana di Trevi.

L’architetto della sua casata, che continua a mantenere, anche se inabile al lavoro, perché nella sua malattia, sta scontando in vita i suoi anni di purgatorio.

Tornare a volare con le ali rosse di Taddeo di Bartolo

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Taddeo di Bartolo, Madonna dell’Umiltà, XV secolo.

Era un po’ che non aggiornavo il sito, il software invece si è aggiornato da solo e mi sono accorta che molte foto sono rovesciate. Avevo pensato di rimetterle a posto, ma dato che nulla è come prima e non credo che ormai lo sarà (e per molte cose non mi dispiace affatto), forse terrò le foto così, a testimonianza della mazzata.

Nell’immagine in evidenza, Maestro di Paciano, Storie della Passione di Cristo, XIV secolo, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.

Le ali rosse di Taddeo di Bartolo

Senza pensarci e quasi controvoglia dopo mesi sono tornata ad entrare in un museo. Mi sono talmente concentrata nel tenermi occupata, in casa, al computer, che, quasi senza rendermene conto, ho interiorizzato il distanziamento.

Mi sono rifugiata, ancora una volta nello studio, però in qualche modo, stavolta l’arte ne era rimasta chiusa fuori, come tutto il resto.

Eppure ormai dovrei saperlo che se c’è qualcosa che mi consola e che mi da speranza è proprio lei.

Forse è che questa volta qualcosa è riuscito a togliermela, a tenermi lontano, a togliermi il gusto, almeno apparentemente.

Sono distratta in biglietteria, non so dove andare e che devo fare, non lo so più, non so più muovermi a casa mia.

Salgo le scale e la bella architettura del Palazzo dei Priori si insinua a poco a poco, sparisce il caldo, affiora il sorriso.

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Taddeo di Bartolo, San Francesco e il Sultano, tavoletta originariamente parte della predella della smembrata Pala di S. Francesco al Prato, 1403.

La custode spiega le regole di visita e il percorso della Galleria Nazionale dell’Umbria, quasi si scusa per tutto questo, ma io sono già oltre, persa nella bellezza.

Comincio proprio con la mostra di Taddeo di Bartolo, mi attira quell’atmosfera rosso arancio, dalla luce calda e soffusa.

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Jacopo della Quercia, Annunciata, terracotta policroma, inizi XIV secolo, Galleria Nazionale dell’Umbria, Perugia.
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Perugino, Annunciazione, 1495-1496, Perugia, Galleria Nazionale dell’Umbria.
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Giannicola di Paolo detto lo Smicca, S. Sebastiano, S. Pietro martire, S. Stefano, S. Caterina da Siena, S. Maddalena, particolare della Pala di Ognissanti, 1506-1507, Perugia Galleria Nazionale dell’Umbria.
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Giannicola di Paolo, S. Maddalena e S. Sebastiano, prima metà del XVI secolo, Perugia Galleria Nazionale dell’Umbria.